Quante storie racconta un tetto: gli archetipi dell’abitare

Continua l’intervista con l’arch. Sophia Los attraverso i costrutti mentali dell’abitare. Quattro archetipi che rappresentano altrettante personalità e luoghi di vita quotidiana seguendo una sorta di antropologia dell’architettura.
Disegno archetipi Los
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Dopo i racconti dell'abitare e l'importanza dell'habitat nell'architettura inclusiva, continuiamo ad approfondire questa tematica con l'arch. Sophia Los.

Il tetto narra del luogo, della geografia e del clima, prima di raccontare la storia degli abitanti. Dalla sua forma si deducono la piovosità, il vento. E’ costruito in seno ad un ecosistema per diventare parte di un habitat.

Il tetto è visto come protezione e sicurezza, come un modo per modulare la relazione fra interno ed esterno dell’edificio.

Secondo te esiste una relazione fra persone e case? ovvero esiste una corrispondenza tra modi di essere e modi di abitare?

Molti anni fa, a seguito di corsi divulgativi che avevo organizzato sull’abitare, ho scoperto, parlando con i partecipanti, che ogni persona predilige un tipo di rapporto tra interno ed esterno, tra privato e pubblico e ho individuato alcuni archetipi dell’abitare. All’inizio ne ho identificati tre ai quali ho recentemente aggiunto il quarto. Sono:

  • albero

  • caverna

  • recinto

  • nido.

Questi archetipi convivono nelle città e ogni abitante ne predilige uno in particolare, ma potremmo anche immaginarli lungo una sequenza storica. Da quando un uomo primitivo ha trovato riparo sotto a un albero fino a quando non necessita più di un tetto perché la tecnologia gli consente di sentirsi protetto anche solo da un vetro o con getti d’aria. Oppure potremmo riconoscere a questi archetipi un’identità geografica, legandoli a condizioni climatiche differenti. Fa parte di un approccio antropologico all’architettura, a me caro, utile ad esplorare il rapporto stretto che lega abitanti e luoghi. Come sai, io parto dall’esperienza del vivente attorno al quale si configurano le costruzioni, gli edifici. La narrazione della vita è per me il centro di attenzione, con i suoi simboli, evocazioni, metafore...

Vediamoli nel dettaglio.

archetipi Los

Le interviste di BMI: chi è Sophia Los

Sophia Los

Sophia Los, architetto e paesaggista. Sotto il nome SOL, lo studio progetta paesaggi e luoghi a diverse scale - attorno alla vita che ospitano, a partire dai gesti che ispirano - secondo un atteggiamento naturalmente ecosostenibile che integra tradizione e innovazione. Il filo d'Arianna che da cento anni tesse la storia sempre attuale di architettura e design, in famiglia e con nuovi compagni di viaggio.
Progetti, didattica e formazione sono strumenti per esplorare la vita attraverso gli spazi abitati. Nel 2012 (2° ed 2014) pubblica con List, il libro “Una vita in tandem. Ecologia come sentimento”.
E’ associata all’Istituto Nazionale di Bioarchitettura e all’AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio). Attualmente è tesoriere della Sezione Triveneto Emilia Romagna.
Dal 2008 Tiene corsi che accostano al tango argentino discipline marziali con Stefano Gambarotto e con il quale fonda Bi-tango.
Sta debuttando con il racconto/spettacolo dedicato a un pubblico di ragazzi e adulti: “La seconda conferenza degli animali e il Grande Algoritmo”, che ha scritto e illustrato, accompagnato dalla chitarra di Alessandro Colombo.

Archetipo 1: l'albero.

Pensiamo ad un uomo che per proteggersi trova riparo ai piedi di un albero, protetto dalle sue fronde: il suo rapporto è di integrazione totale con l’intorno, ma serve un tetto, un cappello. Ad esempio le case giapponesi o le prairie houses di Frank LL. Wright erano principalmente un grande tetto. In genere, queste tipologie di abitazioni si trovano nei climi umidi, dove serve un ombrello e allo stesso tempo mantenere costante la ventilazione. I tetti con grandi sporti sono cappelli, alberi, cappelli a falda larga. La pareti devono consentire la ventilazione incrociata, con pareti mobili, carabottini o finestre poste sapientemente. 

In questo tipo di spazio la luce procede da un perimetro molto luminoso a un centro in ombra. Quello in cui Frank lloyd Wright poneva il camino, in continuità con la tradizione dei primi pionieri e di derivazione inglese. Quel cuore ombroso che secondo Tanizaki* ospitava la donna, dalla pelle bianchissima.

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Archetipo 2: la caverna.

In questo caso il rapporto di continuità con l’esterno si mantiene solo sul fronte: schiena, piedi e capo sono protetti. E’ una posizione che consente maggior controllo. Le tipiche barchesse della campagna veneta ne sono un esempio. Si tratta di edifici rurali porticati a sud e riparati sui restanti tre lati. Sono edifici orientati tipici di aree nelle quali il clima consente una prolungata vita all’aperto, da primavera avanzata all’autunno. I portici consentono di schermare il sole estivo alto sull’orizzonte e di accogliere la radiazione invernale. La priorità del tipo precedente è tra sopra e sotto; qui è tra davanti dietro. La luminosità verso l’ombra in una sola direzione.

Anche edifici nei quali parete e copertura sono trattati in continuità appartengono a questo gruppo, sempre con un lato aperto. Berretti con il frontino, per fare un’analogia.

Archetipo 3: il recinto.

La separazione tra interno ed esterno diviene più rilevante. E’ un caso tipico dei climi aridi, del sud. Oppure molto freddi del nord, ma con clima secco. Il tetto è semplicemente una ulteriore parete, orizzontale. Il rapporto sopra/sotto diventa secondario rispetto a quello tra qui e là.

In questo caso le finestre sono zone concentrate di luce abbagliante, al centro di pareti in ombra. In genere sono forme geometriche semplici, singole o accostate e generano fra loro stanze senza soffitto, ugualmente abitabili, protette da pergole o pompeiane, ma collettive: molta vita avviene in strada, contrapposta a interni privati.

In questi casi in genere pareti spesse si modellano e diventano arredi, importante è che si mantenga il senso della “scatola” per suscitare un senso di protezione. Riconducendolo ad una copertura potremmo definirlo un passamontagna, un casco, il cappellino con veletta o il velo dei paesi arabi.

Archetipo 4: il nido.

E' accessibile in climi molto particolari, generato da suoli paludosi o dal desiderio di isolarsi. Abitare in quota, dove il cielo è amico.

Ci sono due possibili interpretazioni del tema nido: il primo mette in evidenza l’abitare in quota, il secondo la mancanza di tetto (o il tetto trasparente). In effetti i nidi stessi sono di diverse tipologie. Nel primo caso si tratta di un abitare lontano dal suolo, lontano dagli altri, isolandosi, meditando, sognando; il secondo di accogliere uno sguardo privilegiato sul cielo. Al primo caso appartengono le palafitte, le case sugli alberi, capsule nella natura. Al secondo serre e pure terrazze pensili. La tecnologia ha sviluppato ampiamente questo modo di abitare prima inconsueto, proponendo serre, coperture vetrate, consigliabili ovviamente solo dove il cielo sia prevalentemente coperto e di certo inadatto nei climi caldi. Cappellini impermeabili trasparenti, ma anche, pensando a  giardini e orti pensili, quei cappellini degli anni 30 decorati con fiori di seta.

NOTE:

*Tanizaki, J., (1988), Libro d’ombra, Bompiani.

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